venerdì 22 febbraio 2008

La bella di Lodi

La bella di Lodi, di Mario Missiroli (1963) Da un racconto di Alberto Arbasino, Sceneggiatura di Alberto Arbasino, Mario Missiroli Con Stefania Sandrelli, Angel Aranda, Elena Borgo, Maria Monti, Giuliano Pogliani, Cesare Di Montagnano, Gianfranco Clerici, Renato Montalbano, Mario Missiroli Musica: Piero Umiliani Fotografia: Tonino Delli Colli (80 minuti) Rating IMDb: non disponibile
Solimano
Come di solito, dopo aver visto il film ed essermene fatto una idea, ho letto alcune recensioni. Ho trovato che su un punto si assomigliano tutte: chi le ha scritte non conosce la mentalità di un piccolo industriale di allora (1963), che è anche quella di oggi. Riflettiamoci un momento: che immagine si trova nei film -non pochi- in cui ci sono degli industriali come personaggi?
Si va di frequente sulla caricatura nei film comici, farseschi e grotteschi. Chi ha visto almeno una volta Gigi Ballista in quella parte capisce subito: un efficiente piuttosto incolto, spesso bonario salvo quando vengono toccati i suoi interessi, allora diventa una belva.
Ma ci sono anche i film drammatici, poi quelli sulla politica e sull'economia. E allora si tratta di uno che sa le cose, che è capace di girarle a suo favore passando sopra tutto e tutti se del caso. C'è anche la variante decadente, ad esempio il padre che fa l'azienda, il figlio che la distrugge.
Persino nel caso di film apprezzabili, come Signore e Signori di Germi, Riusciranno i nostri eroi etc di Scola e Il maestro di Vigevano di Petri, il versante grottesco finisce per prevalere.

La bella di Lodi è un piccolo film che ha il merito di essere più vicino alla realtà vera di quelle decine di migliaia di persone che negli anni Sessanta stavano dando un contributo non piccolo al cambiamento dell'Italia, nel bene e nel male. I critici non se ne sono accorti, né la gente del cinema era in grado di farlo, gli industriali che gravitavano attorno al cinema erano abbastanza diversi dai piccoli industriali che non avevano né voglia né tempo di farsi conoscere. Il merito è di Alberto Arbasino e di Mario Missiroli che quel mondo lo conoscevano: qui lo esprimono, oltre a criticarlo e sfotterlo.
Nell'immagine sopra si vede l'inizio della storia. Roberta (Stefania Sandrelli) è una giovane che lavora a Lodi nell'azienda di famiglia, settore agro-caseario, con possedimenti terrieri, case e ville. Se ne sta a prendere il sole su una spiaggia della Versilia, quand'ecco si fa avanti Franco (Angel Aranda), di cognome Garbagnati, di mestiere meccanico auto. I due scambiano poche battute, fumano una sigaretta, Roberta sta sulle sue non per timidezza ma perché sa che è bene fare così, Franco prova a vantarsi della sua perizia di pilota di go-kart, Roberta non fa una piega, e lui se ne va un po' deluso. Ma nel pomeriggio, Roberta -chissà perché- porta la sua compagnia a veder proprio la gara di go-kart e fra pomeriggio e sera i due, fra un po' di andirivieni, trovano il modo di andare a letto insieme. Franco si sveglia per primo, e visto che Roberta dorme ancora, si riveste, intasca l'orologio e l'accendino di Roberta e se ne va. Una cosa da mare, come si chiamavano allora, magari condita con un finalino un po' sgradevole.


E' passato qualche mese, Roberta è immersa nel lavoro in ditta, in cui è molto considerata dalla nonna (Elena Borgo) che la vede adattissima ed affidabile, in compenso Roberta ha carta libera: del suo tempo privato può fare ciò che vuole. Si trovano in compagnia con parenti ed amici, si capiscono perfettamente, hanno quel minimo di istruzione scolastica, non leggono libri, al massimo cantano dei canti di montagna (eh sì!) e ascoltano canzonette. Curano molto il vestire ed il mangiare e si informano sollecitamente sulla salute dell'uno e dell'altro. Leggono con regolarità i dati di borsa ed alcuni articoli del principale quotidiano economico .
Un giorno, arriva a Roberta una telefonata di Franco, che vuole venire a trovarla. Ed insiste, telefona ancora. Roberta pensa ad un ricatto ed avverte la polizia. Si organizza la trappola: Franco arriva in ciclomotore, con una cassetta sul sedile posteriore, quei due dietro sono due poliziotti in borghese a cui Roberta fa un cenno. I due lo prendono di sorpresa e Franco fa in tempo a gettare a Roberta un bel cucciolo che le voleva regalare. Poi i poliziotti lo portano in prigione per furto. Roberta è sorpresa anche lei, il regalo del cucciolo non se lo aspettava.


Tutto sembra risolto, Franco pagherà il giusto fio per la sua colpa (sei mesi di prigione), solo che dopo quattro mesi Roberta fa una cosa strana: va alla prigione a chiedere se Franco è ancora detenuto. Le rispondono che è stato rilasciato qualche giorno prima, e Roberta fa una cosa ancora più strana: con la sua Giulietta Spider si ferma a far benzina proprio alla stazione di servizio in cui Franco lavora come meccanico. Lui la vede, la prende a schiaffi, viene picchiato da viaggiatori scandalizzati, fatto sta che i due poche ore dopo sono ancora a letto insieme e non spariscono più orologi o accendini, spariscono loro, che debbono tornare in ditta o in officina e non vedono l'ora di ritrovarsi. Vanno anche in barca sui laghi di Mantova e Roberta, efficiente in tutto, rema anche lei, così Franco può prendere il sole. Di parole gentili, di discorsi d'amore non ne fanno quasi per niente, stanno bene insieme e basta.


I problemi ci sono. Alcuni facili da superare, come il fatto che Franco impari come si fa con le banche, ma il ragazzo c'è portato, è furbo e sente l'opportunità che ha fra le mani. Poi, fare in modo che Franco abbia una attività indipendente, una officina-garage, ad esempio: vanno a negoziare a destra e a manca, e prima o poi ci riusciranno. Sono problemi facili perché tutti e due ci sono abituati, ognuno nel suo status. Ma ci sono i problemi difficili, e li pone Franco non discutendone ma nei fatti. Il primo è quello della dominanza, perché Roberta è abituata a comandare, e a lui non sta bene. Il secondo è quello della gelosia, perché Roberta ha il suo giro di amici ricchi come lei, e c'è poco da fare, è così. La cosa è ben riepilogata dallo sguardo (immagine in cima al post) che Roberta dà a Franco mentre dorme, lo sguardo di una che è molto attaccata, guai a chi glielo prende, è roba sua, però non lo chiameremmo uno sguardo dolce, secondo i normali crismi, perché di dolcezza non c'è tempo per averne.

Che si fa, lieto fine oppure no? Si risolve tutto la notte stessa. Franco si sveglia presto, infuriato per l'insostenibile situazione e se ne va con la Giulietta nella notte piovosa sull'autostrada: incidente con fratture, ma è solo questione di tempo, tornerà come prima. La decisione viene presa dalla nonna di Roberta che fa presente per telefono alla nipote che lei è essenziale in azienda e visto che il nonno non è adatto ed anche il fratello di Roberta non va bene, in casa ci vuole anche un uomo che si occupi dell'azienda e Franco ci è sicuramente portato, quindi Roberta se lo sposi e festa finita. Roberta fa suo il ragionamento della nonna non solo perché le fa comodo, ma anche e soprattutto perché sa che è un ragionamento che può funzionare.
I due, nell'ultima foto, stanno facendo una vacanza a Venezia e al di là della terrazza si vede la grandiosa Chiesa della Salute, ma i nostri due, oltre a non saperne niente, sono certamente presi da loro stessi. Franco torna sul discorso dell'officina-garage, ma "basta basta" dice Roberta "il garage ce lo facciamo a casa nostra a Lodi". Lieto fine quindi, e magari in tutti questi decenni sono stati benissimo insieme. Tutto era nato con il furto di un orologio e di un accendino, ma anche lì Franco aveva dimostrato che ci sapeva fare, cosa sicuramente confermata in anni di lavoro nella azienda-famiglia (di cui fa parte a pieno titolo).

P.S. Stefania Sandrelli all'epoca del film aveva solo diciassette anni. E' stata splendidamente doppiata da Adriana Asti di cui inserisco una immagine da Prima della rivoluzione, che è il secondo film di Bernardo Bertolucci ed è stato girato a Parma nel 1964.

5 commenti:

Giuliano ha detto...

E' vero, gran parte del cinema si potrebbe intitolare "Il mondo del lavoro, questo sconosciuto".
Non era così nei primi decenni del cinema, con Frank Capra, ma anche con Blasetti, si nota che qualche frequentazione c'è stata.
Poi, è dura: soprattutto con gli italiani, mi duole dirlo.

gabrilu ha detto...

Si, Giuliano, ma se il mondo del lavoro non è uno dei temi privilegiati del cinema italiano bisogna prendere questo semplicemente come un dato e punto. Che sennò il rischio di dire su cosa uno scrittore deve scrivere, un pittore dipingere ed un regista fare un film diventa alto, non credi?
Guarda un po' che cosa produsse il realismo socialista e lo zdanovismo, ad esempio. Faccio un esempio estremo al limite del provocatorio, lo ammetto, ma è pur bene tenerli presenti, certi guasti...

Solimano ha detto...

Giuliano e Gabrilu, io la vedo in ottica leggermente diversa. A me danno fastidio i film in cui il personaggio è posticcio, gli applicano una label per dire che qualcosa fa, ma si sente che non gliene frega niente né al regista, né allo sceneggiatore, né agli attori. Sono film che perdono sul piano estetico, perché i personaggi sono privi di spessore. E ce ne sono tanti così. Faccio un esempio positivo per questo film, che è un desaparecido. I due sono in una camera d'albergo, fanno l'amore... e poi lei si mette a leggere le pagine economiche del giornale... e lui impara come si fa. Sembra un dettaglio, ma non lo è, dà un senso nel bene e nel male. Per questo dico che generalmente c'è molta superficialità. Mettete il caso dei personaggi de Il gusto degli altri della Jaoui. Si sente nel film quello che fanno, senza retorica, senza polemica, ma si sente. Ciò aggiunge, non toglie al film.

saludos
Solimano

gabrilu ha detto...

Che discorsi, Solimano, è chiaro che messa così non si può non essere d'accordo con quello che dici. Ma quello che dici riguarda qualsiasi tema, qualsiasi personaggio e/o elemento del film. La superficialità ed il pressappochismo sono nefandi sempre e comunque, no?
Bonne nuit ed ossequi a tutta la compagnia

Giuliano ha detto...

Cara Gabrilu, io ho nominato Frank Capra, non a caso. Ma anche in Kubrick, in Wenders, perfino in Antonioni (il ritratto del padre di Lea Massari in L'avventura) il mondo del lavoro c'è e si vede. E' una cosa che viene naturale, ognuno descrive il mondo dove vive, più o meno consapevolmente; e se si vive nel nulla si descrive il nulla, e se uno non ha dentro niente il film (o il libro) verterà sul niente. Magari piace, e vende...
Su Zhdanov mi sono già espresso tante volte, ho letto la biografia di Sciostakovic e qualcosa qui ho riportato. Ti posso dire quello che ho detto sull'Andrej Rubliov di Tarkovskij: quel film esiste, nonostante la burocrazia (e peggio) sovietica. Oggi Tarkovskij non arriverebbe nemmeno nell'ufficio di un produttore...